Nel 2020 e 2021 il lockdown conseguente alla pandemia di Covid 19, che tanti lutti e disagi ha causato, ha permesso a chi è diventato padre in quei mesi di sperimentare una nuova esperienza di genitorialità.
Costretti in casa, molti neopapà hanno avuto infatti, se pur nei limiti di giornate da dedicare principalmente al lavoro, il privilegio di poter seguire giorno dopo giorno la crescita dei propri figli e la possibilità di dividere in maniera più equa le responsabilità genitoriali, senza doversi accontentare dei pochissimi giorni imposti dalla legislazione italiana.
Eppure, non abbiamo saputo fare tesoro di questa esperienza. Oggi, secondo la nostra legislazione, le responsabilità genitoriali sono ancora nettamente sulle spalle delle madri, con profonde conseguenze sul mercato del lavoro e sullo sviluppo della relazione tra padre e figli.
La mia esperienza da neopapà
Se ho pensato di cominciare così quest’articolo è perché sono anch’io uno dei “fortunati” a essere diventato padre tra il 2020 e il 2021.
Il 15 settembre 2020 nasceva infatti mio figlio Leonardo e lo faceva in un contesto che, rispetto ad appena 7 mesi prima, era totalmente cambiato.
In una ipotetica linea temporale alternativa, in cui nessun pangolino o virus sperimentale (inserite la vostra tesi complottistica preferita qui) decideva di causare una dolorosissima pandemia globale, i miei primi mesi di paternità sarebbero stati molto diversi.
Avrei usufruito dei 7 miseri giorni di congedo di paternità obbligatorio che lo Stato italiano garantiva in quel momento, approfittato dei giorni aggiuntivi gentilmente concessi dalla mia azienda, e poi avrei ripreso a frequentare l’ufficio, accontentandomi di interagire con mio figlio per un paio di ore al giorno nei giorni feriali.
Avrei perso tanti momenti indimenticabili e lasciato mia moglie ad affrontare da sola questa nuova sfida. E mi sarebbe sembrata la perfetta normalità.
Chi ha avuto un figlio nel 2020 e 2021 ha invece avuto, spesso, un’esperienza molto diversa, costretto a casa da un lockdown o dalle nuove politiche di smart working introdotte dalle aziende.
Per prima cosa, è potuto restare al fianco della madre durante la gravidanza, vivendo insieme un periodo delicatissimo e unico per una coppia.
Ha poi avuto la possibilità di seguire da vicino la crescita del neonato, stringendo un legame affettivo più forte e alleviando un po’ le fatiche e le pressioni che una madre si trova a fronteggiare nei mesi successivi alla nascita.
Molti neopapà di quegli anni, insomma, hanno potuto assaporare l’idea di un’Italia in cui il congedo di paternità non sia una piccola mancia, ma un lungo periodo di riposo forzato che mette padre e madre sullo stesso piano, cementando la famiglia e il legame affettivo tra padre e figlio.
Terminata la pandemia, purtroppo, la situazione non è evoluta secondo le aspettative di molti.
Sì, il lavoro agile è oggi realtà in tante aziende ma è un fenomeno che ha smesso di crescere e anzi, in alcune realtà appare in regressione.
Ma, soprattutto, si è arrestata la crescita del congedo di paternità obbligatorio, che oggi ammonta a 10 giorni, molti meno di quanti ne siano previsti nei paesi più sviluppati.
La situazione sul congedo di paternità nel mondo
A livello globale, la differenza tra il congedo di maternità e quello di paternità è notevolissima.
Basti pensare che negli ultimi cinquant’anni (questo dato è contenuto in una ricerca del 2024) il numero medio di giorni di congedo di maternità è passato da 63 a 107, mentre quello di paternità è passato da meno di 1 giornata a poco più di 9.
In moltissime nazioni, il lavoro da fare su questi temi è immenso.
A ispirare la legislazione italiana devono però essere gli esempi più moderni e inclusivi, di frequente promossi dai paesi del nord Europa.
Vediamo alcuni.
In Svezia, esiste un unico congedo parentale da 480 giorni, flessibile, che deve essere equamente diviso tra padre e madre e speso entro i nove anni del bambino. Di questa dote, per i padri è obbligatorio l’utilizzo di “soli” 30 giorni, ma la tendenza a sfruttarne molti di più è in forte aumento negli ultimi anni. Dal 2024, esiste anche la possibilità per i genitori di trasferire fino a 45 giorni di congedo a testa a una terza persona (per esempio, un nonno o una tata) che si prenda cura dei loro figli nel primo anno d’età.
Anche la Spagna ha un sistema molto moderno, che assegna 16 settimane di stipendio pienamente retribuito a entrambi i genitori, di cui 6 obbligatorie da fruire ininterrottamente a partire dalla nascita.
La Norvegia è stata la prima nazione a introdurre un congedo obbligatorio per i padri, già nel 1993. Oggi sono previste due settimane obbligatorie per i padri a partire dalla nascita del figlio, più 15 o 19 facoltative.
In Finlandia ogni genitore ha diritto a 164 giorni di congedo, ma non ci sono obblighi di sorta per i padri. In Francia, invece, la situazione è solo leggermente meglio che in Italia, con 28 giorni di congedo (di cui 3 a carico del datore di lavoro) di paternità, dei quali 7 obbligatori.
Il congedo di paternità in Italia
Alla data di scrittura di questo articolo (marzo 2025) il congedo di paternità obbligatorio in Italia ammonta ad appena 10 giorni, validi sia in caso di nascita che di morte perinatale del bambino.
Sembrano pochissimi, ma come accennato erano ancora meno (7) nel 2020 e appena 3 (ma di cui solo uno obbligatorio) alla sua introduzione nel 2012. In quegli anni, insomma, un padre doveva scegliere se impiegare i suoi giorni di congedo pienamente retribuiti per accompagnare la futura madre in ospedale, per starle accanto durante il parto o per supportarla al rientro a casa. Uno scenario desolante, che è però stato la norma per milioni di padri italiani.
Oltre al congedo di paternità obbligatorio, per la cura dei figli un padre può attingere anche al congedo parentale (10 mesi per entrambi i genitori, elevabili a 11 se il padre si astiene dal lavoro per almeno 3 mesi), che prevede una retribuzione al 30%.
Il problema di questo congedo facoltativo, però, è che ha un tasso di utilizzo bassissimo. Nel 2021 in Italia appena l’1,8% degli aventi diritto ne ha fatto uso, vuoi per il basso tasso di retribuzione, vuoi perché il retaggio culturale del paese fa sì che un lavoratore che si assenta con questa formula sia malvisto.
Forti delle spinte provenienti da alcuni paesi – soprattutto del nord Europa, ma non solo – in Italia sono state avanzate due diverse proposte per estendere il congedo di paternità obbligatorio a tre mesi, con l’obiettivo di promuovere una maggiore equità nella condivisione delle responsabilità familiari e favorire l’occupazione femminile.
La prima è una proposta di legge del 2021, presentata dai deputati Alessandro Fusacchia, Erasmo Palazzotto, Rossella Muroni e Lia Quartapelle. La seconda è un’iniziativa del 2024 che si inserisce nel contesto del progetto europeo 4e-Parent. In entrambi i casi la retribuzione prevista per i 3 mesi è del 100%.
Queste proposte – che per quanto ampiamente migliorative non annullano le differenze di trattamento tra madre e padre – sono entrambe lontane da una possibile approvazione.
Nel frattempo, diverse aziende stanno cercando di colmare il vuoto lasciato dallo Stato concedendo congedi di paternità aggiuntivi e ben retribuiti.
Tra i molti casi – che vedono protagonisti tanto le PMI quanto le grandi aziende – spicca quello di Barilla, che in Italia ha esteso il congedo di paternità da 10 giorni a 12 settimane.
Perché è importante allungare il congedo di paternità obbligatorio
Chi auspica un deciso aumento della durata del congedo di paternità obbligatorio non lo fa perché “geloso” del tempo concesso alle madri (circa 5 mesi di congedo obbligatorio con retribuzione all’80%).
Piuttosto, lo fa partendo dalla consapevolezza che l’obbligo per le madri di assentarsi da lavoro per 5 mesi – spesso prolungati per scelta o necessità mediante il congedo parentale facoltativo – costituisca un ostacolo alle loro possibilità di trovare un lavoro, mantenerlo e fare carriera.
Basti ricordare i tempi – non lontani e non del tutto tramontati – in cui durante un colloquio a una donna capitava di essere interrogata sulle sue intenzioni riguardo alla maternità.
O, ancora meglio, basta guardare alcuni dati. L’Italia nel 2022 aveva il tasso di disoccupazione femminile più alto dell’Unione Europea (55%), con il 18% delle donne lavoratrici che smetteva di lavorare dopo la nascita di un figlio. Secondo la Relazione annuale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 2021, inoltre, il 43,8% delle lavoratrici ha lasciato il proprio impiego a causa delle difficoltà nel bilanciare lavoro e responsabilità familiari, mentre solo il 21,7% lo ha fatto per trasferirsi in un’altra azienda. Al contrario, tra i lavoratori uomini, il 78,2% delle dimissioni è stato motivato dal passaggio a una nuova azienda, e solo il 3% ha indicato come causa le difficoltà di conciliazione tra lavoro e cura familiare.
Il primo motivo per cui è fondamentale livellare la differenza tra il congedo di maternità obbligatorio e quello di paternità è quindi quello di ridurre i disequilibri di genere. In primis per una questione morale – perché dovremmo continuare a caricare le responsabilità genitoriali soprattutto sulle donne? – ma anche per ragioni economiche.
Aumento del PIL
Una equa distribuzione delle responsabilità genitoriali ridurrebbe il tasso di abbandono del lavoro da parte delle donne ed eliminerebbe un forte bias dai processi di selezione.
Questo porterebbe a una maggiore partecipazione delle donne alla vita lavorativa del paese, un fenomeno che si tradurrebbe in una forte crescita del PIL.
Questa tesi è sostenuta da molti studi autorevoli. Uno dei più recenti, presentato nel 2024, ha stimato che se il tasso di occupazione femminile in Italia raggiungesse la media europea il numero di donne occupate aumenterebbe di circa 2.800.000 unità, con una crescita del PIL nazionale del 7,4% (154,7 miliardi di euro). Un contributo paragonabile a quello del Piemonte!
Crescita della natalità
L’allungamento del congedo di paternità avrebbe un effetto concreto anche sulla crescita della natalità in Italia.
Insieme alla creazione di più posti nei nidi comunali, questa iniziativa avrebbe un impatto decisamente superiore rispetto ai piccoli bonus estemporanei a cui ricorrono con frequenza i governi italiani.
Le difficoltà riscontrate nella gestione degli equilibri tra vita e lavoro sono infatti uno dei motivi principali che spingono le coppie a non andare oltre il primo figlio.
A supporto di questa tesi, uno studio del think-tank Tortuga.
Attaccamento emotivo
Congedi di paternità più lunghi avrebbero anche un altro effetto positivo: consentire ai padri e ai figli di sviluppare quei legami di attaccamento emotivo che saranno la base per il rapporto padre-figlio anche negli anni seguenti.
Non si tratta soltanto di permettere ai padri di trascorrere più tempo con i figli, ma anche di dare ai figli la stessa opportunità.
I bambini che hanno un padre presente e coinvolto fin dalla nascita tendono a sviluppare migliori capacità cognitive e sociali, mostrano maggiore empatia, autostima e ottengono risultati scolastici più elevati. La partecipazione attiva del padre sin dai primi momenti contribuisce anche a ridurre i rischi durante la gravidanza e il parto e promuove modelli di mascolinità più orientati alla cura.
Conclusioni
Le implicazioni positive di un rafforzamento del congedo di paternità obbligatorio sono talmente tante che sembra impossibile che non sia tenuto in maggiore considerazione dalla politica italiana.
Tanto più che, come tante iniziative destinate a ridurre il gender gap, anche l’aumento del congedo di paternità ripagherebbe rapidamente l’investimento necessario a sostenerlo.
Non ci resta quindi che sperare che qualche governo porti avanti in maniera convinta una riforma che non rappresenti il solito compromesso ma affronti fino in fondo la questione della parità di genere nella genitorialità.
Di fondamentale importanza sarà il tema dell’obbligatorietà. Un po’ come avvenuto per le quote rosa nei CDA, anche in quest’ambito è necessario ricorrere all’obbligo di legge per forzare un cambio culturale e ottenere miglioramenti rapidi.
Non va dimenticato, infine, che le sfaccettature della genitorialità sono molte di più di quante abbiamo potuto analizzare in questo articolo. Anche i genitori single e le coppie dello stesso sesso dovranno essere tenuti in considerazione e tutelati in maniera adeguata dalla nuova normativa.
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