Le aziende stanno attraversando un periodo di grandi trasformazioni e cambiamenti. Il modo di vivere e intendere il lavoro sta cambiando, anzi è già cambiato. Definitivamente e in maniera irreversibile. Sul posto di lavoro vengono richieste sempre meno azioni meccaniche e ripetitive e sono necessari piuttosto creatività, coraggio e leadership.
Soft skill e attitudini, parole che fino a pochi anni fa suonavano estranee alla maggior parte dei professionisti del mondo del lavoro, oggi non possono essere ignorate.
I cambiamenti del mondo del lavoro hanno fatto nascere nuove esigenze, come la flessibilità in entrata e in uscita, la libertà di gestire il proprio orario, un mind setting diverso che punta all’obiettivo e alle soluzioni.
Termini come smart working, employee advocacy, paradigma BYOD (Bring Your own Device – porta il tuo device a lavoro), lavoro da remoto e intrapreneurship hanno fatto la loro prepotente comparsa nelle aziende, già profondamente cambiate dalle nuove tecnologie e dai nuovi modi di organizzare il lavoro.
Ad accelerare questo processo che dà sempre maggiore rilevanza alle soft skill e alla capacità di imparare rapidamente adattandosi a un contesto mutevole sono diversi fattori.
Uno è sicuramente la velocità con cui i lavori diventano obsoleti o vengono stravolti, per via di macchine, software e automatizzazioni. Secondo Cathy Davidson, direttrice della Futures Initiative alla City University of New York, il 65% degli impieghi dei prossimi dieci anni attualmente non esiste. Come potrebbero, quindi, i nuovi laureati formarsi e acquisire competenze utili a svolgerli?
Un altro è la crescente importanza che hanno per il datore di lavoro la motivazione negli impiegati, il loro committment, la sensazione di sentirsi parte di qualcosa di più grande alla quale sono felici di appartenere. Ed ecco in risposta nascere come funghi le zone relax, lo yoga, le palestre, le piscine, l’asilo nido aziendale. Siti come Glassdoor, il cui scopo è fornire recensioni sulle aziende, su come si lavora e si vive dentro di esse, diventano la bestia nera di quella fetta di HR manager ancora terrorizzati dalla trasparenza che il web 2.0 reca inevitabilmente con sé.
Uno studio di Capgemini Consulting and MIT Center for Digital Business del 2011 ha dimostrato come spesso gli investimenti corporate nel digitale subiscano una forte resistenza proprio da parte dei dipendenti.
La Gamification come risposta al cambiamento
La gamification è un’ottima via per colmare questo gap tra tecnologia, innovazione e change behaviour e far sì che gli obiettivi aziendali collimino con quelli personali dei dipendenti.
Negli ultimi anni i processi di gamification ed engagement design sono stati usati in modo massiccio nel mondo HR per le attività più disparate: recruiting, engagement del personale, formazione interna, motivazione del team di vendita, onboarding, formazione aziendale e molto altro ancora. Non a caso nel 2012 Gartner stimava che nel 2015 il 40% delle 1000 principali società mondiali avrebbero implementato la gamification come volano per la trasformazione delle operazioni interne. Ciò non deve stupire. I millennials sono nati e cresciuti a pane e videogiochi, per questo si aspettano in ogni loro interazione quel grado di coinvolgimento, motivazione, interesse e fascino a cui sono abituati.
Il lavoratore “ingaggiato” all’azienda lavora di più e ottiene risultati migliori.
Un altro studio di Bloomberg dimostra che questi dipendenti mettono un impegno superiore (57%) in azienda e l’87% di loro è meno incline a lasciare la società rispetto a coloro che si considerano disengaged.
Ma la gamification funziona davvero?
Possiamo davvero ricreare quel legame motivazionale che esiste da oltre trent’anni tra videogioco e videogiocatore in ambito lavorativo? O, in realtà, queste società stanno vivendo una sorta di allucinazione collettiva, e le leve di motivazione e ingaggio possono essere usate solo in un contesto ludico e disinteressato, proprio perché esse stesse rappresentano un momento di evasione e relax?
È davvero possibile trasferire gli sforzi mentali e fisici a cui il videogiocatore è abituato durante le sessioni di gioco all’ambito lavorativo? Quel mix di concentrazione, attenzione al particolare, coordinamento, strategia, creatività e attitudine al problem solving o al lavoro di squadra?
La risposta è sì, come dimostrato da moltissime case histories.
Gamification: alcuni case studies di successo
Partiamo dal pluricitato e innovativo “Fold it”, sviluppato in collaborazione dal dipartimento di Scienza e Ingegneria informatiche, il dipartimento di Biochimica e il Center for Game Science dell’Università di Washington. Un gioco per computer in cui si può contribuire al progresso scientifico e più specificamente al ripiegamento di proteine: l’opportunità di manipolare una singola proteina proposta dal gruppo di ricerca con uno strumento di grafica tridimensionale dà il via a una “gara” con altri “piegatori”. Gli stimoli sono molteplici: dall’emozione di superare in classifica qualcun altro alla rabbia di essere superati, dalla frustrazione di non vedere crescere il punteggio alla gioia di effettuare appassionanti rimonte. In soli 10 minuti di gioco, milioni di utenti hanno ottenuto risultati straordinari che gli studiosi non sono riusciti a raggiungere in anni di lavoro.
Si può continuare con Choreworks, che trasforma casa propria in un cerchio magico ludico e i noiosi lavori domestici, come lavare i piatti o pulire per terra, in azioni utili ad acquisire punteggio e scalare classifiche; o SuperBetter, un vero e proprio format per gamificare la convalescenza post trauma o motivare se stessi all’interno del processo di crescita personale (self empowerment).
D’altronde, per tornare al mondo del lavoro, la gamification può servire a completare le informazioni che riceviamo dal CV di una persona, permettendoci di avere un riscontro sulla sua tenacia, resilienza, capacità di adattamento, problem solving, gestione del breve-medio-lungo termine, sulla sua capacità di creare strategie e sulla costanza nel perseguirle. Per questa ragione molte aziende scelgono di arricchire i propri processi di recruitment, performance management e talent acquisition con tecniche di engagement e gamification.
Non a caso la neonata scienza della Gamification da 100 milioni di dollari di fatturato attestato nel 2010 ha raggiunto i 2,8 miliardi nel 2016.
Nel Febbraio 2015 MSC crociere ha inaugurato Inner Islands, un progetto digitale che ha portato 8 studenti e giovani laureati a un contratto di stage retribuito presso le sedi in Italia, Francia, Spagna e Germania. A essere rivoluzionaria è la modalità di selezione del nuovo personale, non più attraverso colloqui standard bensì con un grande gioco che funge da tool di recruiting e validazione delle capacità dei candidati.
In maniera più verticale hanno agito altri marchi utilizzando la gamification per incrementare l’employer branding e la brand awareness: BNP Paribas e Bank Austria, Marriot Hotel, Siemens e Hilton solo per citarne alcuni.
Un esperimento affascinante e di larga portata sicuramente da citare in questo ambito è la partnership del 2012 di Yammer e Badgeville, che hanno interfacciato le loro due piattaforme: quella di Badgeville che è una “Behaviour Platform” con la quale è possibile introdurre logiche di gamification in contesti aziendali guidando azioni e change behaviour, permette agli utenti di ottenere dei badge, che in seguito all’accordo sono notificabili all’interno del network Yammer, nota piattaforma creata per facilitare la comunicazione e la condivisione all’interno dei team aziendali.
Altro importante esempio nel campo del recruiting viene dall’Ungheria: una soluzione creata da T-System, denominata “I KNOW IT“. Un business game che mette alla prova i candidati in quattro specifiche aree di interesse aziendale: service desk, support/operation, testing e project management. La piattaforma analizza i risultati e fornisce agli aspiranti lavoratori dei feedback utili e, contemporaneamente, sgrava l’azienda dalla lettura di migliaia di CV attraverso un primo screening automatico.
Il futuro della Gamification nell’HR
Siamo pronti a scommettere che la Gamification e l’engagement design giocheranno un ruolo di primo piano nella rivoluzione in atto, cambiando il loro mindset e arricchendo gli strumenti di gestione delle risorse umane a disposizione della Direzione del personale.
Un esempio pratico? L’integrazione di una piattaforma di talent assessment con l’ATS aziendale permetterà alle aziende di sfruttare la gamification e incorporarla nei propri processi di ricerca e selezione.
In questo momento storico, tutto ciò che interagisce con l’uomo sta cambiando e il settore HR, essendo la funzione aziendale più vicina alle persone, rappresenta un enorme “touching point” tra l’azienda e coloro che in essa vivono, lavorano e si sviluppano. Un laboratorio dove tutto viene progettato, sperimentato e divulgato ad un ritmo che si fa sempre più veloce e dove le innovazioni diventano sempre più radicali, pervasive e rilevanti per il miglioramento della vita delle persone. D’altronde, a prescindere dal settore in cui viene applicata, non è forse questo lo scopo primario della gamification e dell’engagement design? Rendere tutto ciò che circonda l’uomo più interessante, semplice e, in definitiva, fun?
Articolo a cura di Salvatore Mica, www.skeym.it
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