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Settembre 3, 2020

Recruiting funnel: come organizzare la filiera del talento

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Una delle tecniche di marketing più utilizzata nel mondo HR è quella del recruiting funnel.

Attraverso questo percorso – che nel marketing consente di organizzare tutte le tappe che portano un prospect a diventare cliente – un professionista delle Risorse Umane può infatti pianificare le strategie di ricerca e selezione e di retention, seguendo i candidati fino all’assunzione e oltre.

È quindi un metodo che serve a mettere al centro della propria attività il candidato – e poi il dipendente – allo stesso modo in cui il lavoro del team marketing e sales ruota attorno ai clienti. Non a caso fa parte delle tecniche del cosiddetto recruiting marketing.

Grazie al recruiting funnel è possibile ottimizzare il percorso di candidatura, individuando la strategia migliore, utilizzando i giusti strumenti e monitorando i risultati attraverso KPI.

Esistono diversi modelli di recruiting funnel: quello che vi presentiamo di seguito analizza anche il periodo di retention, con lo scopo di mantenere un turnover adeguato e aumentare la soddisfazione dei dipendenti.

Altri recruiting funnel si fermano alla fase di assunzione. Lo stesso avviene anche nelle strategie di molte aziende, dove una volta assunto un talento non esiste un piano per coltivarlo e trattenerlo.

Nella nostra visione, il recruiting non deve essere un’attività scollegata dalla gestione delle Risorse Umane. Non a caso produciamo una suite di software HR completa.


Il recruiting funnel: infografica

recruiting funnel

Il recruiting funnel nel dettaglio

Analizziamo i contenuti dell’infografica, fase per fase.


La fase di Attraction/Ricerca

Pubblicare un annuncio di lavoro è solo una piccola parte di quello che un’azienda può fare per trovare candidati di valore da aggiungere al proprio organico.

Bisogna infatti riuscire a far emergere le proprie offerte tra le tantissime pubblicate ogni giorno e saper attrarre anche l’interesse dei candidati passivi.

È quindi fondamentale elaborare una strategia di employer branding, ovvero fare in modo che la propria azienda (brand) sia conosciuta e stimata come luogo di lavoro.

Questa strategia, che Risorse Umane e Marketing dovrebbero portare avanti in stretta collaborazione, deve puntare a dare la massima visibilità all’azienda attraverso i tanti strumenti e canali a disposizione.

Approfondiamo i più utilizzati:

  • Career Site. La pagina Carriere del sito aziendale è la base principale di qualunque strategia di employer branding. È in questa sezione che vanno mostrati tutti i materiali che descrivono la cultura, la mission e il clima aziendali (interviste a dirigenti e dipendenti, tour degli uffici, iniziative benefiche e di sostenibilità, benefit erogati ecc.) e la lista delle posizioni aperte. Per catturare l’interesse dei candidati un career site deve rispettare tutta una serie di accorgimenti, tra cui una grafica chiara e accattivante, un layout responsive per essere facilmente fruibile da qualunque dispositivo, form di candidatura brevi ecc.
  • Multiposting. In fase di ricerca desideriamo che i nostri annunci vengano letti da un numero molto ampio di candidati, che però frequentano diversi siti di ricerca del lavoro. Per non dover pubblicare manualmente gli annunci su ciascuno di essi, molte aziende sfruttano il multiposting del loro ATS, che con un click replica le loro offerte in una fitta rete di portali e job board. Se si pubblicano più di un paio di annunci l’anno, questa funzionalità giustifica da sola l’acquisto di un ATS.
  • multiposting Altamira Recruiting
    Un esempio di sistema di multiposting tratto da Altamira Recruiting

  • Company page. Oltre al Career Site esistono altre vetrine di cui è bene approfittare. Le due più importanti sono le pagine aziendali su Indeed e LinkedIn. Lo scopo di entrambe è quello di aumentare la visibilità delle aziende e dar loro modo di trasmettere ulteriori informazioni e “sensazioni” a chi le visita, a prescindere che stia cercando lavoro o meno. L’offerta di Indeed è particolarmente avanzata, con funzionalità gratuite e altre a pagamento e la presenza delle recensioni dei dipendenti, molto utilizzate dai candidati per valutare un’impresa.
  • Sponsorizzazioni. La fase di ricerca può prevedere anche l’acquisto di sponsorizzazioni per mettere in risalto i propri annunci su uno o più canali e attirare più candidature. Si ricorre a questi strumenti soprattutto quando le figure ricercate sono difficili da trovare, per la scarsità di talenti sul mercato o l’alto livello di concorrenza per questi profili.
  • Social media. Le aziende hanno da tempo imparato a presidiare i social network e a utilizzarli per operazioni di marketing e customer support. Più recenti, invece, le iniziative di employer branding su questi canali, tra i quali LinkedIn e Instagram sono quelli che – per motivi diversi – meglio si prestano allo scopo. Il primo perché è il social network del lavoro per eccellenza, il secondo perché con il suo forte impatto visivo è adatto alla condivisione di foto e video che illustrano il clima aziendale dentro e fuori l’ufficio.
  • Career day ed Eventi. Oggi le aziende organizzano e frequentano career day non tanto per assumere sul momento, quanto per far conoscere il proprio brand e creare una riserva di candidati (e consumatori) per il futuro. Partecipare ai career day universitari, in particolare, serve a far percepire che l’azienda è parte del tessuto sociale ed è legata al territorio.
    La tecnologia si sta facendo strada anche in quest’ambito. Si possono infatti organizzare career day virtuali (per esempio tramite Indeed) o raccogliere digitalmente i CV durante eventi fisici grazie agli ATS.
  • Referral. Uno dei fini principali dell’employer branding è trasformare i dipendenti in brand ambassador, persone entusiaste di lavorare nella propria azienda che la promuovono presso amici, parenti e conoscenti. Ottenere questo risultato vuol dire avere a disposizione un nuovo canale di candidature, gratuito e particolarmente interessante.
  • Agenzia di selezione ed headhunter. Non sempre per un’azienda è possibile o conveniente condurre un processo di ricerca e selezione con le proprie forze. In questi casi ci si può affidare a professionisti del settore come agenzie di selezione ed headhunter. Il consiglio in questo caso è di integrare il loro operato nella strategia e dei processi aziendali, per esempio chiedendo loro di utilizzare l’ATS aziendale per tracciare il lavoro.

I KPI della fase di Ricerca

In questa fase si iniziano a stabilire una serie di metriche relative al recruiting che, in seguito, permetteranno di rispondere a diverse domande sull’efficienza dei canali di ricerca.

Tracciare la fonte dei CV consente di sapere quale canale porta più candidati, ma è un’informazione zoppa se non associata alla fonte degli assunti, che ci dice quali canali hanno portato i candidati più validi.

Fonte CV e Fonte Assunti
Da dove arrivano i curriculum e, soprattutto, quale fonte procura i candidati migliori? Queste e altre fondamentali informazioni possono essere ricavate grazie ad ATS come Altamira Recruiting

In questa fase si inizia anche a calcolare il time to fill, ovvero il tempo che intercorre tra l’apertura di una posizione e l’assunzione del candidato prescelto.

Gli investimenti fatti nella strategia di employer branding e per coltivare ciascun canale entrano poi a far parte del cost to hire, un KPI che ogni azienda calcola in maniera più o meno complessa.


La fase di Engagement/Pre-Screening

Le aziende italiane curano sempre di più la fase di pre screening. Un tempo quasi tralasciata – si passava dalla ricezione dei CV direttamente alle selezioni per i colloqui di persona – oggi fa largo uso di strumenti digitali per conoscere meglio i candidati e fornire un feedback costante.

Si tratta soprattutto di:

  • ATS. I moderni ATS forniscono una serie di strumenti che supportano i recruiter nell’analisi dei candidati e nella cura dell’engagement. I modelli di annunci per scrivere offerte di lavoro di qualità, le aree personali per i candidati nei career site, i sistemi di comunicazione automatica e massiva, i tool di ricerca avanzata, le killer question, lo screening automatico ecc.
    Soprattutto, consentono di tracciare le attività svolte con ogni candidato, trasformandolo da sconosciuto ad asset presente o futuro per l’azienda.
  • Video colloqui. Sostituto per eccellenza del colloquio di persona durante il lockdown, è uno strumento utile in ogni stagione per “incontrare” un numero maggiore di candidati e farsi un’idea delle loro capacità comunicative e interpersonali. Le video interviste on demand, in particolare, favoriscono l’engagement, dato che il candidato può sostenere il colloquio quando gli è più comodo e in un ambiente confortevole. Sono quindi accolte positivamente, soprattutto dalle nuove generazioni.
  • Test. Sottoponendo i candidati a test di varia natura (psicoattitudinali, tecnici, di lingua ecc.) si riesce a scremare un buon numero di candidati premiando il merito. I test consentono inoltre a recruiter generalisti di valutare i candidati anche su competenze specialistiche prima che avvenga il colloquio decisivo con l’hiring manager.
  • Gamification. L’idea di valutare le soft e hard skill attraverso giochi digitali è subito parsa vincente (cosa c’è di più interattivo di un videogame?), ma nonostante questo la gamification è ancora diffusa solo tra le multinazionali e alcune grandi aziende. I costi di personalizzazione sono probabilmente eccessivi per le PMI.
  • Chatbot. Basate o meno sull’intelligenza artificiale, queste chat automatiche accompagnano e guidano i candidati che visitano il career site aziendale verso la posizione che più fa al caso loro. Una buona aggiunta al proprio arsenale di tool di pre-screening pensata principalmente per le grandi aziende.

I KPI della fase di Engagement

Una volta iniziato il processo di screening dei CV si attiva anche il “contatore” della metrica time to hire, che valuta la velocità con cui l’azienda porta a termine le attività strettamente di selezione.

Questa è anche la fase in cui sottoporre i candidati a una survey sul percorso di candidatura per identificare eventuali criticità.

I costi sostenuti in fase di engagement possono inoltre entrare a far parte della metrica cost to hire, a seconda del modello utilizzato in azienda.


La fase di Convertion/Assunzione

Molti processi di selezione si infrangono a un passo dalla meta, quando il candidato designato decide di accettare un’altra offerta. Per questo anche le fasi finali del funnel di recruiting vanno curate con la stessa attenzione delle prime.

I colloqui di persona (quando possibili) sono ancora uno dei momenti chiave nel recruiting, sui quali si è scritto moltissimo. Ma anche altri particolari possono fare la differenza, come la lettera d’offerta. Se ben realizzata e personalizzata sul candidato può essere decisiva nello spingerlo ad accettare.

Molti modelli di recruiting funnel si concludono con questa fase.


I KPI della fase di Assunzione

In questa fase si conclude il tracciamento di tanti KPI precedentemente introdotti, come il time to fill e time to hire, il cost to hire, la fonte degli assunti ecc.

time to fill
Il tempo di selezione (time to hire) e il tempo complessivo (time to fill) sono informazioni fondamentali per comprendere l’efficacia del proprio processo di recruiting.

Una metrica interessante che appartiene esclusivamente a questa fase è invece il tasso di accettazione delle offerte. Se troppo basso, vuol dire che qualcosa non convince il candidato nel momento decisivo: potrebbe essere la RAL, l’inquadramento contrattuale, le mansioni, gli orari o altro. Meglio scoprirlo al più presto per non vanificare il lavoro fatto in precedenza.


La fase di Nurturing/Retention

Come già accennato, molti modelli di recruiting funnel si fermano alla fase di assunzione. Si tratta di una visione altrettanto corretta che però, a nostro avviso, rischia di far passare il concetto che l’attività di ricerca e selezione sia poco integrata con il resto delle attività di gestione delle risorse umane.

Un errore commesso ancora da tante aziende che, dopo aver compiuto grandi sforzi per assicurarsi i migliori talenti in circolazione, non pongono altrettanta attenzione nel coltivarli e trattenerli a lungo.

Fondamentale, quindi, che il filo logico che ha portato il candidato a diventare dipendente non si spezzi, e che questi non veda sfumare tutte le promesse fatte in fase di attraction.

L’ingresso e la vita di un dipendente in azienda devono quindi essere curati con una robusta strategia di engagement e sviluppo, che accresca il valore dei collaboratori e li spinga a rimanere in azienda come protagonisti coinvolti e partecipi del business aziendale.

Alcuni dei principali strumenti e processi a disposizione del dipartimento HR per aumentare la retention del personale sono:

  • Onboarding. La fase di inserimento di un nuovo dipendente richiede molta attenzione, dato che influenzerà l’opinione che si farà dell’azienda. Da un lato vanno velocizzati i passaggi burocratici e organizzativi grazie alla digitalizzazione, dall’altro vanno incentivate le occasioni di contatto, confronto e dialogo con i colleghi, tramite l’affidamento di un mentore, un piano di formazione diffuso e riunioni di presentazione.
  • Formazione. Gli investimenti in formazione, in Italia, sono ancora inadeguati e per lo più legati a quella obbligatoria. Eppure la formazione è lo strumento più efficace per sviluppare le competenze dei dipendenti e aumentare la retention. Il ricorso all’e-learning potrebbe consentire alle imprese di aumentare il numero di corsi senza incidere troppo sul bilancio, ma non va sottovalutata la maggiore resa dei corsi blended, ormai attestata da numerosi studi.
  • MBO. Una gestione del lavoro – e dei premi – per obiettivi aumenta la consapevolezza e il coinvolgimento dei dipendenti, migliora la produttività e premia la meritocrazia. È quindi uno straordinario strumento di engagement e retention.
  • Percorsi di carriera. I piani o percorsi di carriera sono un valido strumento di retention, dato che consentono al dipendente di vedere davanti a sé un orizzonte di crescita e responsabilizzazione. Per stilarli serve una mappatura delle competenze necessarie per ciascun ruolo e la valutazione delle skill di ogni dipendente.
  • Welfare aziendale. La remunerazione resta uno dei fattori più importanti nella retention dei dipendenti. Grazie al welfare aziendale le imprese possono integrare lo stipendio con un paniere flessibile di benefit non soggetto alla consueta tassazione. Questo strumento, in forte espansione in Italia, si è rivelato efficace anche di fronte alla crisi di inizio 2020.
  • Smart working. Che si tratti di una profonda rivisitazione dei processi aziendali secondo i dettami dello smart working o di un più semplice lavoro da casa, oggi è difficile pensare che un’impresa possa farne del tutto a meno. È infatti un “benefit” che la maggior parte dei candidati e dipendenti si aspetta di ricevere e al quale difficilmente rinuncerebbe.

I KPI della fase di Retention

In questa fase del funnel le metriche di riferimento cambiano radicalmente e vanno a misurare, in maniera qualitativa e quantitativa, il grado di engagement e di retention del personale.

  • Tasso di turnover. La percentuale di turnover dà un’indicazione quantitativa sulla capacità di retention dell’azienda. Si calcola con questa formula: ((n. entrati nel corso dell’anno + n. usciti nel corso dell’anno)/organico medio annuo)*100.
  • Livello di soddisfazione dei dipendenti. Il modo più semplice ed efficace per comprendere se la strategia di engagement e retention sta funzionando è chiederlo ai diretti interessati. Conducete delle survey annuali o semestrali per comprendere se le iniziative intraprese stanno avendo successo e i dipendenti sono soddisfatti dell’azienda.
  • Tasso di frequenza dei corsi. La frequenza dei corsi è un utile indicatore per capire se il piano di formazione redatto sta avendo un buon riscontro presso il personale.
  • Percentuale di raggiungimento degli obiettivi. Buone performance indicano che i dipendenti sono coinvolti nel business aziendale.



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