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Gennaio 11, 2024

HRevolution: la centralità delle risorse umane è sempre più attuale

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HRevolution è uno dei libri più consigliati per HR e manager. L’autore Alessandro Donadio, filosofo del lavoro, tratta il tema del cambiamento della società, conseguenza della continua e dirompente rivoluzione tecnologica, con un focus molto specifico: quello delle Risorse Umane.

Nel corso del libro viene mostrata la rilevanza strategica della funzione HR per permettere alle organizzazioni di rimanere al passo con il cambiamento, accoglierlo e farlo proprio.

In questo articolo ho deciso di ripercorrere i concetti esposti nel libro, seguendo come filo conduttore il percorso delle persone nella relazione con l’azienda. Per motivi di spazio e di tempo non è stato possibile spiegare e approfondire gli strumenti proposti dall’autore. Per questo motivo e per una comprensione più approfondita consiglio la lettura integrale del testo.

Reputo questo libro un’ottima base di riflessione per ripensare i processi organizzativi e il proprio ruolo in azienda e spero che questo excursus possa offrire rinnovati spunti di ispirazione anche al lettore.





Perché ho scelto di parlare di questo libro

Ho avuto il piacere di leggere questo libro durante l’università: al tempo, non avevo ancora vissuto pienamente le logiche del lavoro in azienda e mai mi sarei potuta aspettare che mi sarebbe stato così utile oggi. Infatti, lavorare nell’ambito dell’HR digital transformation significa ripensare il modello classico delle organizzazioni che tutt’ora, nonostante io sia cresciuta nell’era dei social e dello sviluppo tecnologico, tende ad essere così diffuso in azienda.

Le motivazioni sono molteplici, e credo che non sia neanche così importante elencarle in questo articolo. Ciò che è certo è che, se vogliamo rendere le aziende competitive, pronte ad accogliere le nuove generazioni (non solo i millennial che già vivono e vedono queste realtà, ma anche la Gen Z e la Gen Alfa), è essenziale ripensare le logiche di costruzione delle aziende per renderle luoghi – in senso ampio, in termini phygital – in cui le nuove generazioni trovino ciò che cercano e abbiano voglia di farne parte per creare un cambiamento che sia di impatto per il settore e per il mercato di riferimento.

Rileggere questo libro dopo una – seppur non troppo lunga – esperienza lavorativa mi ha permesso di rivalutare quanto scritto, di vedere le imprese con occhi diversi.



Cosa mi ha colpito di più

Un punto mi ha colpito particolarmente, ovvero quello legato al contratto psicologico persona-organizzazione.

Nello specifico, il patto psicologico è ciò che va oltre quello contrattuale stipulato tra persona e azienda e che rende la prima, a pieno titolo, dipendente nella seconda. Infatti, il patto psicologico si compone di aspettative, desideri, aspetti culturali e tutto ciò che di intangibile esiste nello scambio.

L’osservazione che fa l’autore è che queste aspettative sono cambiate.

Infatti, se prima ciò che l’organizzazione offriva ai lavoratori era legato alla crescita professionale che la persona entrante immaginava di ottenere in termini di competenze, rete professionale, esperienze internazionali e tecnologia, oggi queste risorse sono disponibili e reperibili anche all’esterno, a volte (basti pensare alla tecnologia) anche in una versione molto più avanzata di quelle che si possono trovare in azienda. Ciò non significa che queste risorse non siano più utili ma che non possono più essere considerate un asset strategico su cui puntare per sviluppare attraction, induction e retention.

Lavorare in ottica di Employer Branding al giorno d’oggi significa prima di tutto fermarsi a ragionare sullo stato delle cose, sul posizionamento della propria azienda e sulle risorse a disposizione: le persone con i loro talenti. Un compito che ben può essere svolto dagli HR, visti in questo caso come facilitatori e abilitatori del processo di cambiamento.

Alessandro Donadio ha portato con il suo libro un nuovo modo di intendere le organizzazioni, una visione che ancora oggi può ispirare tantissime realtà pronte al cambiamento, ma dubbiose su come renderlo possibile.

Oltre ad aprire la mente e offrire un punto di vista rinnovato, sono numerosi gli spunti pratici da cui partire per ripensare alcuni processi o per implementare, a processi già rinnovati, alcune soluzioni utili ad arricchirli e ottimizzarli.

In questo articolo non analizzeremo gli aspetti pratici, piuttosto faremo un excursus del “People Enabling Journey”, ovvero il viaggio delle persone nell’esperienza organizzativa.

HRevolution può ispirare HR e manager per un nuovo anno ricco di nuovi propositi, che vede tra i principali trend HR proprio alcuni dei temi affrontati in questo testo.



Il nuovo scopo dell’HR

Donadio apre il suo libro in modo chiaro, spiegando quale sia secondo lui «la nuova purpose di una moderna funzione HR: abilitare le persone a connettersi, conversare, scambiare e produrre sapere, nell’ottica di consentire loro di generare Valore organizzativo».

La persona è al centro, non tanto e non solo in un’ottica individuale, quanto piuttosto e soprattutto all’interno di un contesto – insieme ad altre persone – reso possibile e agevolato dalla tecnologia.

La principale richiesta delle persone è la partecipazione: una collaborazione tra loro e la realtà organizzativa in cui ognuno mette il suo. Le prime mettono a disposizione le competenze, la loro rete di collegamenti e anche la loro tecnologia, mentre la seconda abilita le prime o le rende partecipi, in un nuovo patto win win.

Questi concetti non sono sconosciuti, anzi. In alcuni ambiti li abbiamo fatti nostri a tal punto da rivedere completamente alcuni processi.



La fase di ricerca e selezione

Basti pensare al recruiting, le cui logiche tradizionali sono state stravolte dall’avvento del web e dei social. Infatti, il web è il primo luogo in cui le persone si incontrano, conversano e creano connessioni. Questo è vero anche in ambito lavorativo: le persone entrano in contatto con altre con cui condividere valori e contenuti, in uno scambio di idee e di pensieri che porta a un’esperienza relazionale che consente, a sua volta, di strutturare e definire una storicità, l’insieme di tali esperienze e collaborazioni.

Questo nuovo modo di pensare alla natura conversazionale e di incontro tra individui ha inevitabilmente portato dei cambiamenti evidenti in termini di ricerca e selezione.

Potremmo addirittura dire che il concetto di ricerca è ormai obsoleto. Infatti, per quanto gli strumenti online facilitino il lavoro dei recruiter in questa mansione, è anche vero che limitarsi a questa pratica ha poco di rivoluzionario e tende a non sfruttare a pieno le potenzialità che il web offre.

Per questo motivo si parla tanto oggi di Employer Branding, di un uso più consapevole dei touch point a disposizione delle aziende per comunicare, sia all’interno che all’esterno, la cultura, i valori e le pratiche aziendali.

Se la tecnologia offre ai recruiter oggi nuove forme di ricerca e selezione più avanzate e diversificate, che consentono loro di ampliare il raggio d’azione e di conoscere meglio i candidati, anche questi ultimi sono stati investiti dai cambiamenti della tecnologia. Infatti, oggi i candidati sono prima di tutto persone indipendenti, alla ricerca attiva del lavoro e in grado di mettersi in contatto con le realtà organizzative tramite un click. Ma non solo, oggi i giovani lavoratori ricercano nuove forme di incontro, vogliono conoscere i valori aziendali, scoprire come potranno contribuire allo sviluppo dell’azienda, iniziare a entrare in contatto con chi fa già parte dell’organizzazione per avere un primo assaggio del clima e della cultura aziendale. Anche elementi importanti come la RAL passano in secondo piano.

Assistiamo quindi a un nuovo modo di relazionarsi con i candidati, definito dall’autore il “modello adulto”, in cui si pensa alla persona come un adulto da abilitare e self-empowered. In quest’ottica l’obiettivo dei un “HR enabler” è quello di mettere la persona e l’organizzazione in condizione di scegliersi.



Il processo di onboarding

Se nella fase di ricerca e selezione sono numerosi i cambiamenti avvenuti – anche in termini di percezione e punti di vista – e i nuovi strumenti a disposizione (test online, video di presentazione, community, ambienti di gamification), poco di questo nuovo approccio è visibile all’ingresso della persona in azienda.

Eppure, c’è ormai comune accordo nel considerare il processo di onboarding come un punto cruciale per porre delle basi solide per un lungo periodo di permanenza del dipendente nell’organizzazione. Un punto ormai critico, viste le molte ricerche che mostrano come le nuove generazioni siano particolarmente propense a continui e ravvicinati cambi di azienda.

Tuttavia, nella frenesia di risolvere gli aspetti burocratici spesso si perde di vista un aspetto fondamentale, ripreso da Donadio come punto di partenza per le sue proposte: una persona appena inserita avrà molti dubbi e avrà bisogno di capire non solo come fare le cose, ma anche a chi chiedere nel caso in cui le si presentino dei problemi.

Per il primo aspetto sono già largamente in uso materiali informativi offerti ai nuovi dipendenti per facilitare il loro ingresso in azienda. La tecnologia, inoltre, offre numerosi modi per ottimizzarli. Forme di comunicazione contemporanea e l’uso di applicazioni dedicate rendono questi supporti più fruibili e in linea con le esperienze d’uso e le abitudini odierne di navigazione e ricerca delle informazioni.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, le persone tornano al centro del processo. In verità, nella visione di Donadio, i dipendenti hanno sempre da offrire un contributo ulteriore che va oltre le loro classiche mansioni. Come dicevamo all’inizio, è la partecipazione il nodo chiave della relazione persona-azienda.

In questo senso, già nella fase di ricerca di nuove figure il ruolo dei dipendenti diventa cruciale per sostenere il lavoro dei recruiter nelle varie fasi di una campagna di selezione, per interagire con i candidati e mostrare loro un assaggio di ciò che vivranno in azienda e delle persone con cui verranno in contatto.

Nella fase di onboarding, l’autore propone non solo la figura del mentor e del responsabile come punti di riferimento per acquisire la piena padronanza del proprio ruolo, ma propone di offrire al nuovo dipendente l’insieme dei saperi che compongono l’azienda. In quest’ottica, Donadio parla di “rete di knowledge owner” come asset organizzativo, «una mappa del sapere “dialogante” messa a disposizione di tutti», non solo dell’ultimo arrivato. Significa creare degli spazi, preferibilmente digitali, in cui le persone possono dialogare, offrire il loro contributo in modo ampio, metterlo a disposizione di tutti e permettere che questo sapere porti a nuove domande, nuova conoscenza.

Significa rendere le persone in grado, autonomamente, di trovare le persone e le informazioni che cercano.



La valutazione come “emersione” dei talenti

È all’interno di quest’ottica che si inserisce l’idea di “emersive talent” in HRevolution.

Il primo passo è mettere le persone nella condizione di comunicare tra loro e creare una conoscenza comune e arricchita, quello successivo di mettere «la responsabilità della valutazione in capo alle persone in senso ampio».

In quest’ottica si inserisce l’idea di un “extended and continuous feedback” in una forma pubblica, così da diventare patrimonio conoscitivo di tutti. Un’idea che porta molti ad arricciare il naso, ma che risolve i limiti della relazione duale della valutazione classica e quelli della valutazione 360, in cui il valore generato dai feedback non viene effettivamente esteso a tutti.

Il processo di estrema trasparenza disegnato nel libro si rivela anche un modo per riuscire a individuare i “knowledge owner” di cui parlavamo poco sopra e una prima forma, seppur intangibile, di reward. L’idea è quella di partire da un sistema “people driven”, in cui non si ricade nella corsa all’acquisizione dei migliori fomentando una guerra di talenti, che porta alla sconfitta di tutti. Piuttosto, l’obiettivo è partire dai talenti interni all’azienda, dalle competenze disponibili, valorizzando chi emerge e aiutando chi non ce la fa. Quindi, è dalla mappa dei talenti che si generano i modelli di business che permettono di sfruttare al meglio le competenze interne e, così, di valorizzare tutti.

Le competenze interne alla “socialorg” – un’organizzazione fatta di persone che comunicano tra loro in un contesto dato – sono quelle classiche di gestione dei contenuti, cognitive e relazionali, ma Donadio ne inserisce delle nuove che definisce “meta-abilitanti”.

Tra queste emergono la capacità di fare network, così da rendere i network personali dei dipendenti opportunità per connettere l’organizzazione con risorse esterne di vario tipo, e la capacità di condividere e quindi generare contenuti, ampliando gli orizzonti della conoscenza all’interno dell’azienda. Infine, vi è la competenza dei manager come abilitatori anche loro del cambiamento. Ciò che lo scrittore definisce “enabling leadership” è la capacità dei manager di affiancare il lavoro degli HR dove questi ultimi non possono arrivare, ovvero nella quotidianità, facilitando i processi e offrendo sempre più un ambiente di collaborazione, un supporto alla presa di decisione e al processo di crescita delle persone in azienda, anche tramite la formazione. Si apre l’orizzonte verso una nuova visione, quella del leader gentile.



Il processo di formazione

È chiaro che, per ottenere questa evoluzione da parte dei manager, sia necessario prima di tutto apportare un cambiamento nel modo in cui li formiamo, perché possano essere a loro volta sostenitori della “learning organization”.

Il presupposto alla base è che «le organizzazioni sono quello che sanno». È infatti grazie al sapere che le persone, ma anche le aziende, creano la loro struttura identitaria, sviluppano la capacità di prendere decisioni e crescono, adattandosi alle sfide e ai cambiamenti del mercato e del settore.

L’apprendimento diventa quindi parte integrante e dimensione costitutiva delle imprese. Il ruolo dell’HR enabler è quello di custodire e stimolare questo processo.

In questo senso, possiamo tracciare un identikit del “learner contemporaneo”: una persona che può accedere in autonomia al sapere, a cui partecipa attivamente producendo lui stesso contenuti tramite uno scambio continuo con tutte le persone che fanno parte della sua organizzazione.

Significa considerare l’apprendimento parte integrante della vita di tutti i giorni, oltre che pensare a percorsi dedicati in grado di stare al passo con le rinnovate esigenze dei dipendenti, collegando sempre più la conoscenza all’esperienza e alla conversazione.

In quest’ottica, la tecnologia e il digitale si offrono quindi come facilitatori nella ricerca di contenuti e persone, nel favorire lo scambio, nel custodire la storicità dello stesso.



La fase di offboarding

Ripensare al sistema organizzativo e a come le persone lo vivono, ne entrano in contatto e ne fanno parte, implica anche ripensare a uno dei punti probabilmente meno tenuti in considerazione: il momento in cui una persona decide di lasciare l’azienda.

Giunti a questo punto, le soluzioni per evitare le dimissioni o posticiparle sono ormai inefficaci. Il lavoro, come abbiamo visto, va fatto prima.

Piuttosto è utile approcciarsi a questo momento in un’ottica di opportunità e di ascolto, creando un contesto in cui la sincerità e l’onestà diventino il canale tramite cui imparare e crescere insieme un’ultima volta. Se è stato fatto un lavoro di ascolto prima, tutto ciò può diventare possibile.



Conclusioni

Ciò che è stato detto finora offre una visione d’insieme chiara. Donadio propone un’alleanza tra azienda e persone, una presa di consapevolezza riguardo al contesto che non può più essere considerato come neutro, ma parte integrante di ogni processo di cambiamento, in grado di favorire il dialogo, la conversazione, la crescita dell’azienda e delle persone in un patto di tipo win win.

Mettere al centro le risorse umane che compongono l’organizzazione significa ripensare al modo in cui vivono l’azienda e renderle co-partecipi del processo di crescita e sviluppo.

Non solo quindi Employer Branding grazie alla collaborazione di tutti, ma anche Personal Branding per rendere le persone consapevoli, responsabili, agenti di loro stesse.



Il ruolo dell’HR diventa quindi non solo quello di facilitatore e custode di questa rinnovata consapevolezza. Gli HR hanno il compito di mettersi in ascolto e liberare il talento individuale.

Per farlo, devono sviluppare diverse competenze, che a volte spaziano in ambiti estranei a loro. Ma poter contare su un sapere condiviso e sulla collaborazione rendono questo compito perseguibile, perché condiviso in termini di intenti.

Dopo aver letto questo libro all’università ricordo che sognavo – ingenuamente – una realtà organizzativa quasi perfetta. L’esperienza mi ha permesso di comprendere che, piuttosto, la cosa importante è cambiare punto di vista e provare a contribuire, nel proprio piccolo, nel rendere la propria realtà aziendale la versione migliore che può diventare.




Crediti fotografici: ©VectorMine/Adobe Stock