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Gennaio 28, 2021

6 effetti dello smart working sui processi di recruiting

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Lo smart working, ancora per lo più imposto dalle misure di contenimento della pandemia, è destinato a diventare una modalità di lavoro abituale in tutto il mondo.

Dopo averne sperimentato i vantaggi – riconosciuti anche dalla maggior parte di imprenditori e manager – i dipendenti non vorranno infatti farne a meno. Toccherà quindi alle aziende e agli uffici HR disegnare una policy di lavoro a distanza che li soddisfi e prenda in considerazione sia le loro esigenze che quelle dei dipendenti.

Lo smart working è un fenomeno così rilevante da avere profondi impatti anche sul tessuto economico, sociale e urbanistico. Non sorprende, quindi, che la sua diffusione stia già avendo diversi effetti concreti anche sull’attività di ricerca e selezione. Eccone alcuni.


1. Il time to hire sta diminuendo

Il time to hire, o tempo di selezione, è uno dei KPI più importanti del recruiting.

Un time to hire elevato comporta una serie di problemi: aumentano i costi di selezione, le posizioni restano a lungo vacanti, i candidati migliori possono aver già scelto un’altra azienda ecc.

Nel 2017, stando a una ricerca di Glassdoor, le aziende italiane impiegavano circa 36 giorni per portare a termine il processo di selezione, una media superiore a quella di molti paesi occidentali.

Questo valore è sicuramente diminuito nel 2020.

Una delle attività che più rallenta il processo di selezione, infatti, è incrociare le agende di recruiter e candidati per trovare il giorno e l’orario giusto per i colloqui, soprattutto quando il candidato ha un altro lavoro.

Questo problema è stato in larga parte risolto dalla diffusione dello smart working e dei video colloqui. Questa modalità di lavoro permette infatti a un candidato di organizzare il proprio tempo e ritagliarsi facilmente uno slot di mezz’ora, sufficiente per procedere con una video intervista, anche con un preavviso minimo.

I recruiter riescono così a concentrare un gran numero di colloqui in pochi giorni e accelerare il processo di selezione.

Questi cambiamenti hanno permesso alle aziende che hanno dovuto aumentare la produttività durante la pandemia di espandere rapidamente la forza lavoro.


2. I confini del talento si sono allargati

Le aziende che hanno iniziato a prevedere posizioni totalmente in remoto hanno il vantaggio di poter cercare e assumere talenti da qualunque parte d’Italia e – compatibilmente con orari di lavoro e fuso orario – da tutto il mondo.

Ma anche quelle che si limiteranno a offrire maggiore flessibilità – per esempio con 2-3 giorni di lavoro da casa a settimana – potranno attingere a un portafoglio più vasto di candidati. Per esempio, un’azienda di Torino potrebbe diventare interessante per un lavoratore di Milano che non vuole trasferirsi ma è disposto a fare il pendolare per 2-3 giorni la settimana.

Tutto questo rende ancora più importante adottare una strategia di employer branding – per attirare e convincere i candidati migliori – e di retention dei dipendenti – per difendersi dalla concorrenza di aziende da tutto il mondo.


3. Le priorità dei candidati sono cambiate

Nella classifica dei benefit più apprezzati e ricercati da candidati e dipendenti lo smart working ha guadagnato numerose posizioni, tanto da poter influenzare la loro decisione finale.

Il rapporto lavoro/vita privata è oggi prioritario, mentre altri benefit come l’auto aziendale e la palestra stanno perdendo d’importanza.

Una policy di smart working flessibile diventa quindi un’arma potente per convincere i candidati a scegliere la propria azienda.


4. Nuove soft skill da ricercare

Negli ultimi anni le soft skill hanno assunto grande importanza nei processi di ricerca e selezione. Molte aziende, infatti, le considerano più difficili da “allenare” rispetto alle hard skill.

Lo smart working ha posto l’accento su alcune competenze trasversali in particolare, tra le quali:

  • Abilità interpersonali. Una soft skill importante quando bisogna gestire un team che lavora con costanza da casa, per ricreare l’atmosfera collaborativa dell’ufficio.
  • Affidabilità. L’affidabilità comprende un gran numero di qualità “umane”. Quella di lavorare in maniera indipendente senza bisogno di supervisione, l’onestà, l’integrità, la puntualità e tutto ciò che ci porta a fidarci di un nostro collega. Indispensabile per restare produttivi quando si lavora da casa.
  • Time management. Con il poco tempo a disposizione e le tante mansioni da svolgere saper gestire il tempo a disposizione e assegnare le giuste priorità è una qualità fondamentale. Imparare a gestire il proprio tempo in autonomia è stata una sfida difficile per molti lavoratori durante il lockdown.
  • Problem solving. Grazie al problem solving siamo in grado di trovare una soluzione a un problema tutte le volte in cui ci si para davanti un “ostacolo” che non possiamo superare in maniera istintiva o tramite un comportamento abituale. Esiste forse un lavoro che non ci proponga, nel tempo, nuove “sfide” da risolvere?

5. Le digital skill sono diventate irrinunciabili

A inizio 2020 le aziende – che fossero pronte o meno – hanno dovuto trasferire molti dei loro processi online.

Il più grosso ostacolo sul loro cammino è stata la scarsa diffusione delle competenze digitali tra la forza lavoro a cominciare, com’è naturale, delle generazioni più anziane.

Questo enorme stress test ha spinto le aziende italiane a investire sulla formazione delle competenze digitali per colmare il gap con gli altri paesi.

Anche in futuro le competenze digitali saranno tra le più ricercate dai recruiter, che dovranno essere capaci di farle emergere e riconoscerle.


6. Il supporto della tecnologia è ancora più importante

I cambiamenti dell’ultimo anno hanno reso la tecnologia ancora più indispensabile per i dipartimenti di ricerca e selezione.

Non solo perché, come già anticipato, i colloqui e altre attività (career day, test ecc.) si sono spostati quasi esclusivamente online, ma anche per facilitare la collaborazione tra i diversi recruiter che lavorano a distanza.

Lo strumento principe è sempre l’ATS, grazie al quale i recruiter possono sfruttare un database aziendale comune senza rischiare di contattare lo stesso candidato, avere visibilità sul lavoro dei colleghi, monitorare l’andamento dei progetti, gestire con semplicità il trattamento dei dati, organizzare le attività e creare report.

Grazie a un software per il recruiting e ai suoi strumenti di screening automatico, saranno poi in grado di portare avanti selezioni rapide ed efficienti che aiutino l’azienda a dotarsi dell’organico necessario per intercettare la ripresa economica prospettata per i prossimi anni.




Credito fotografico: ©Artur/Adobe Stock