Chi è interessato ad ampliare le sue conoscenze sul mondo del recruiting, può trovare in rete una vera miniera d’oro di informazioni.
Guide ai colloqui di selezione, informazioni sugli strumenti e sulle metriche da utilizzare e persino test per valutare la propria strategia di ricerca e selezione.
Lo stesso non può dirsi per l’outplacement, nonostante la sua importanza a livello sociale e professionale.
Per conoscere meglio questo servizio professionale, che ha acquisito una importanza sempre maggiore negli ultimi anni, abbiamo scelto di intervistare una esperta in materia.
Ecco le domande che abbiamo posto a Sara Rossi, Consulente Outplacement.
Per iniziare, puoi raccontarci qualcosa del tuo percorso formativo e professionale?
Con il senno di poi posso dire che c’è sempre stata la passione per le persone e la loro condizione professionale. Istintivamente ho scelto un percorso universitario trasversale come Scienze Politiche e una specializzazione in Diritto del Lavoro. La formazione non è mai finita, soprattutto quando si parla di lavoro con le persone, per questo seguo e ho seguito corsi legati alla selezione, al bilancio delle competenze, al coaching e all’orientamento, alla comunicazione e ai social.
La stessa curiosità verso aspetti differenti della professionalità individuale mi ha portato a occuparmi di selezione a diversi livelli, dai profili più operativi ai quadri passando per l’orientamento di giovani nelle scuole e degli adulti fino ad arrivare a percorsi di ricollocazione professionale, consulenza di carriera e coaching.
Dacci una tua definizione e descrizione dell’outplacement
L’outplacement è un servizio professionale erogato da società e professionisti qualificati, in cui il consulente supporta il candidato nel reinserimento lavorativo.
Per me l’outplacement è un’opportunità a disposizione del candidato, in un momento delicato del suo percorso professionale.
L’outplacement si concretizza in un insieme di azioni messe in atto in team con il candidato, per raggiungere l’obiettivo. Le azioni passano da aspetti emotivi ad aspetti concreti e rendono il candidato l’attore del processo. In un percorso di outplacement si identificano queste fasi: l’accoglienza, il bilancio delle competenze, l’orientamento al mercato e lo scouting, la formazione a supporto delle competenze acquisite o da acquisire. Importanti nel processo sono il monitoraggio e la valutazione dei risultati raggiunti e attesi.
Quali sono i vantaggi economici e sociali portati dall’outplacement?
L’outplacement ha importanti vantaggi sia a livello sociale che economico sia per l’azienda che per il lavoratore.
Troppo spesso l’outplacement è stato descritto con accezioni negative. Oggi possiamo affermare che, al contrario, può divenire anche un trampolino per migliorare la propria carriera o posizione professionale con il supporto specializzato di consulenti esperti e preparati tecnicamente e personalmente.
Da un punto di vista aziendale, l’utilizzo di questo tipo di consulenza, supportato da opportuna comunicazione, permette di mantenere un clima positivo interno. In linea generale, l’outplacement identifica una scelta etica e responsabile dell’azienda, dimostrando la sua volontà di affiancare i propri dipendenti in ogni momento professionale, anche meno positivo.
Quando si progetta un percorso di outplacement si deve tener conto di costi diretti e indiretti della procedura. A livello economico, l’outplacement permette una riduzione del costo complessivo e globale del licenziamento. Infatti l’offerta (o la richiesta) di outplacement si configura come mezzo per velocizzare i tempi di uscita (e di conseguenza di reimpiego) ottimizzando le risorse da entrambe le parti.
Quali sono le soft skill più importanti per chi si occupa di outplacement?
La prima caratteristica che mi viene spontaneo indicare è l’Ascolto Attivo della Persona in tutte le sue necessità (emotive, economiche, familiari, personali, professionali).
Servono inoltre pazienza, empatia e polso fermo. La linea che divide candidato e consulente è molto sottile. Si fa squadra, ma ognuno ha un ruolo ben preciso. Aggiungerei entusiasmo e voglia di mettersi in gioco.
Negli ultimi anni sembra esserci maggiore attenzione e considerazione verso l’outplacement. A cosa ritieni che sia dovuta?
Negli ultimi anni si è assistito a un aumento netto del numero di disoccupati e di aziende che hanno dovuto ridurre il personale. Questo ha portato a interrogarsi sullo strumento e sul suo utilizzo in maniera più estesa.
In parallelo però è aumentata la sensibilità delle aziende verso azioni di responsabilità sociale in linea con le nuove policy.
L’unione di questi due fattori ha fatto in modo che si potesse parlare di outplacement non più come strumento elitario, ma più comune e applicabile a profili e settori differenti.
Da produttori di ATS, conosciamo bene i ferri del mestiere di un recruiter. Quali sono, invece, gli strumenti digitali preferiti per chi si occupa di outplacement?
Anche chi si occupa di outplacement deve porre attenzione agli strumenti digitali. In particolare al mondo dei social network, LinkedIn in primis. Una precisazione è d’obbligo: non tutti gli strumenti sono adatti a ogni profilo e come ogni strumento, anche quello digitale deve essere calato sul candidato, sulla sua professionalità e sul suo obiettivo professionale. Talvolta può non servire.
Detto ciò, posso affermare che l’utilizzo di LinkedIn aiuta la fase di ricollocazione del candidato e favorisce autonomia e confronto con altri professionisti, permettendo di mettere a frutto il network professionale. È utile anche nella creazione di referenze reali non più solo da parte del responsabile diretto ma anche da parte di colleghi o clienti/fornitori. L’utilizzo dei social network professionali risulta tanto più efficace quanto più si unisce il virtuale al reale.