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Marzo 31, 2016

Quando l’intervista è alla recruiter: 10 domande a Chiara!

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Porre domande è una parte importante del lavoro di tutti i recruiter.

È naturale, quindi, che lo facciano con naturalezza e abilità.

Ma sono altrettanto abili nel dare risposte?

Chiara, una recruiter IT nonché creatrice del blog Le faremo sapere, ha accettato di rispondere ad alcuni quesiti sul suo lavoro. E ha passato l’esame a pieni voti.

Ecco a quali domande ha gentilmente risposto!


Quale ritieni sia il percorso di studi ideale per lavorare nelle Risorse Umane, se ne esiste uno?

In effetti non so se ne esista uno proprio ideale: credo che alla base ci debba essere una sorta di vocazione a lavorare a contatto con le persone, con le loro caratteristiche specifiche e avendo presenti le possibili criticità di relazione; sicuramente aiutano molto gli studi umanistici un po’ trasversali (psicologia, pedagogia, antropologia, sociologia, scienze della comunicazione…) che non lasciano un bagaglio pratico di conoscenze, ma si insediano nel sangue e nella pelle diventando parte del modo di fare, di essere, di pensare.

Poi ci vogliono ovviamente delle nozioni di diritto, ma credo che molto venga dalla predisposizione personale e dall’esperienza nella gestione delle relazioni e della comunicazione.

C’è anche da dire che la branca delle Risorse Umane di per sé è abbastanza ampia e sfaccettata, quindi è possibile che, pur formalmente lavorando nello stesso ambito, si svolgano ruoli completamente diversi, dove le competenze richieste possono passare dal più tecnico al più relazionale.


Come giudichi il livello di preparazione medio al colloquio dei candidati italiani?

Non posso fare un paragone con altri Paesi, perché la mia esperienza è tutta italiana, e i confronti “per sentito dire” non mi piacciono… ma in generale devo ammettere che c’è molta approssimazione e pochissima preparazione.

I candidati più senior magari non sono più allenati a fare colloqui se non si sono mai mossi dalla propria azienda, quelli più giovani non vengono preparati da nessuno e fanno scivoloni pazzeschi per la loro inesperienza.

L’atteggiamento più diffuso è la convinzione di poter andare a braccio, anche nelle parti del colloquio dove si può avere il maggiore controllo e dove è possibile giocare d’anticipo, per esempio costruendo una storia professionale lineare e convincente, valutando i punti di forza e di debolezza che si possono portare a proprio vantaggio.

È importante anche conoscere prima il proprio interlocutore, mentre molti non si preoccupano minimamente di cercare due informazioni di massima sull’azienda che andranno a incontrare.


Si parla molto di recruiting, ma molto poco di outplacement. Ci puoi tracciare un ritratto di questa attività?

Ah, l’outplacement è stato il mio primo amore… arrivato un po’ per caso, in verità, tant’è vero che quando mi hanno chiamato per il primo colloquio, appena laureata, l’avevo scambiato per l’outsourcing!

Comunque in termini molto brevi si tratta di un percorso di consulenza personalizzato, un vero e proprio supporto nella ricerca di un nuovo lavoro. Alle persone che seguivo spiegavo che, in fin dei conti, quello che avremmo fatto insieme sarebbe stato apprendere un metodo utile non soltanto nell’occasione presente, ma anche per tutta la propria vita lavorativa.

È un percorso in cui il candidato impara a conoscere sé stesso attraverso la descrizione dei ruoli ricoperti e delle attività svolte: da lì ricava quelle che sono le proprie competenze e ragiona sull’obiettivo che vuole raggiungere.

Dall’insieme di tutto ciò nasce il CV, assieme alla lettera di presentazione: con questi strumenti si è pronti per andare “a caccia” del nuovo lavoro, ci si prepara ai colloqui e si valutano le offerte.


Perché hai deciso di aprire un blog e chi sono i tuoi lettori tipo?

Come dicevo prima, l’outplacement è stato il mio primo amore e dopo qualche tempo dall’aver cambiato lavoro ho iniziato, tutto sommato, a sentirne nostalgia.

Mi mancava la possibilità di seguire la persona nel suo percorso di ricostruzione dell’identità professionale, aiutarla nell’individuare il proprio obiettivo e supportarla nella creazione degli strumenti e della strategia per porsi nel modo migliore e più efficace sul mercato.

Ho pensato a come potevo sfruttare queste mie competenze a vantaggio di chi si trova alla ricerca di lavoro, spaesato in questo mercato magari diverso da come se lo ricordava/immaginava, indeciso su come muoversi.

Inizialmente ero orientata all’idea di creare brevi percorsi di formazione per disoccupati, qualche incontro d’aula e magari qualche piccola consulenza individuale, tramite la parrocchia o la Caritas, o il Comune. Ma poi il tempo è sempre tiranno e mi sono resa conto che mi avrebbe portato via qualche sera di troppo e con un bimbo ancora piccolo non me la sentivo.

Qualche battuta da parte di due amici su Facebook mi ha fatto venire l’idea e in 2 giorni avevo aperto il blog, espressamente con l’idea di dare risposta a qualche domanda, fornire alcuni consigli e magari sorridere assieme su qualche episodio divertente.


recruiting comic

Quali sono le difficoltà nel fare selezione per posizioni altamente tecniche, come può essere quella di programmatore, quando si ha una formazione lontana da queste tematiche e competenze?

Le difficoltà stanno spesso nel capire quanto concreta sia l’esperienza che un candidato sostiene di avere, perché i termini, le tecnologie, le specificità di ogni figura pian piano con la pratica si acquisiscono, ma le domande puntuali che solo un tecnico può rivolgere, quelle vengono dall’esperienza concreta sul campo e se anche le ripetessi a pappagallo, sarebbero poco credibili.

È anche vero che in questo settore è consuetudine far fare un colloquio tecnico in una fase successiva: i candidati solitamente sono abituati al doppio incontro, quello con le risorse umane e quello col tecnico, che spesso è anche il titolare del progetto.


Quanto ritieni utile la tecnologia a supporto della tua professione?

Tantissimo! Non oso nemmeno immaginare come fosse possibile, fino a 10/15 anni fa, fare il mio lavoro senza usare internet… Cioè, ovviamente lo posso immaginare con una certa approssimazione, ma spesso abbiamo tempistiche molto strette e l’idea di dover pubblicare un annuncio e aspettare le risposte via fax o via posta non la trovo concepibile!

Senza parlare del database dove possiamo tener traccia dei candidati incontrati e quindi poter reperire più facilmente delle competenze incrociando semplicemente delle informazioni.

L’idea di armadi pieni di faldoni con i CV cartacei classificati chissà secondo quale logica mi mette i brividi, quindi benvenuta tecnologia!


Quali sono i canali principali attraverso i quali ricevi i curricula?

I CV principalmente arrivano in risposta agli annunci che pubblichiamo su un paio di siti specializzati, qualcuno dal nostro sito internet, altri da segnalazioni di colleghi o partner.

Ma è anche vero che la maggior parte dei colloqui che organizziamo sono di candidati che andiamo a cercare direttamente nel nostro database o nelle banche dati dei sopracitati siti: abbiamo un volume abbastanza alto di ricerche e spesso non abbiamo tempo di aspettare le candidature dirette.

I social network invece, al momento, non ci danno grandi risultati, ma sicuramente anche noi dovremmo curarli meglio.


Si parla molto dei social come strumento per “spiare” i candidati prima e dopo un colloquio. A tuo avviso quanto è diffuso questo fenomeno e che cosa ne pensi di questa abitudine?

Ne ho giusto scritto recentemente sul blog…

Diciamo che personalmente uso molto LinkedIn, ma quello è un network di stampo professionale, e chiunque vi si sia iscritto lo fa con l’intenzione di mostrare le proprie competenze professionali.

Facebook lo uso raramente, ma per alcune posizioni credo sia interessante valutare più che altro la competenza che una persona ha sull’uso dei social, sul concetto di riservatezza e comprensione degli strumenti per la privacy.

Se dalla tua pagina emerge che nel fine settimana ami fare le ore piccole con gli amici passando da un locale ad un altro, non sono tanto preoccupata del fatto che magari il lunedì non arrivi fresco e riposato al lavoro; mi piace meno, piuttosto, che non ti disturbi che anche un qualsiasi sconosciuto possa vedere i commenti negativi sul tuo (magari ex) datore di lavoro.


A quale personaggio famoso o di fantasia ti piacerebbe fare un colloquio e che cosa gli chiederesti?

Onestamente non saprei: so che è stato emozionante e molto interessante incontrare il fondatore di una realtà che seguo e ammiro da qualche anno, che si occupa di educazione al coding per bambini e ragazzi.

In questo caso è stato piacevole lo scambio di vedute e la condivisione di un pensiero sull’importanza della formazione ad un approccio all’informatica come nuovo livello di alfabetizzazione, che vada oltre l’insegnamento finalizzato al mero utilizzo, ma arrivi ad una comprensione delle logiche sottostanti. I bambini e ragazzi che partecipano non saranno tutti programmatori, ma potranno avere un’idea più chiara di cosa si nasconde dietro un software, da un videogame ad uno strumento di lavoro.


Qual è la domanda meno convenzionale che ti è mai capitato di porre?

A dire il vero non sono una da domande strane o “trabocchetto”, ma mi è piaciuta una domanda che una mia collega ha posto ad alcuni candidati per una posizione interna: “Se fossi miliardario, ma dovessi comunque lavorare, che lavoro sceglieresti?”


Grazie mille Chiara!




Crediti fotografici: ©Kirsty Vidoslava/Fotolia; ©cartoonresource/Fotolia